CALCIO
21 Marzo 2021 - 07:00
BAGHDAD — La guerra all’Iraq, iniziata l’altra notte, ha avuto la sua fase più violenta a partire dalle 19 di ieri con una gragnola di bombe e di missili Cruise che s’è abbattuta su Baghdad e su numerosi obiettivi in tutto il Paese.
Quasi contemporaneamente, i marines entravano in Iraq dal Kuwait e iniziavano l’avanzata verso Bassora. Secondo voci confermate in serata truppe Usa sono entrate in Iraq anche dalla Giordania.
È stata una giornata convulsa di notizie belliche, ben più che di sviluppi politici e diplomatici. Il presidente George W. Bush e la sua Amministrazione devono ancora capire se il primo colpo a sorpresa tentato per «decapitare la leadership dell’Iraq» e fare fuori Saddam Hussein, ha dato risultati. C’è chi parla di «elementi della dirigenza» colpiti, forse uccisi. E il ferimento di Saddam Hussein non è stato confermato. Ma non ci sono nomi, da fonti affidabili; e non ci sono conferme ufficiali. Trincerato alla Casa Bianca, cui è ormai impossibile avvicinarsi senza autorizzazioni speciali, il presidente Bush trascorre la giornata tra riunioni coi suoi collaboratori e telefonate ai partner della «coalizione dei volenterosi», quella che ufficialmente si chiama «per il disarmo immediato dell’Iraq». Dopo avere annunciato l’apertura delle ostilità, Bush ricompare sugli schermi delle tv: loda «il valore» dei soldati.
Kuwait, la prima paura dei gas
BASE AS SAYLIYAH (Qatar) — Suonano le sirene e l’incubo di Kuwait City diventa d’un tratto realtà. Attaccato a Baghdad nell’assaggio di quella che sarà l’offensiva finale, il regime iracheno si vendica lanciando missili sui reparti americani schierati sul fronte del Kuwait e torna a mettere paura al piccolo Stato che Saddam Hussein inghiottì nel 1990, per poi essere costretto a mollare sulla scia di Desert Storm. Spuntano le attrezzature antigas, si aprono i rifugi speciali, gli inviati dei grandi network tv tornano a trasmettere con il volto coperto dalle maschere. Per un giorno il Kuwait si trova piombato in una guerra più di nervi, che di reale pericolo. Non ci sono vittime e non ci sono segni di armi chimiche o biologiche nelle testate dei missili tirati, un po’ a casaccio, dalle postazioni irachene. Ma il fatto che dagli arsenali del regime iracheno siano comparsi di nuovo gli Scud —almeno così li hanno identificati i militari anglo-americani —non può certo tranquillizzare lo Stato del Golfo che ha offerto agli Usa il punto di partenza per l’invasione. Così come ha destato una certa sorpresa scoprire che l’Iraq è ancora capace di spedire i suoi missili, nonostante tutte le operazioni americane contro le sue postazioni di lancio.
L’Europa divisa sulla guerra cerca unità sul futuro dell’Iraq
BRUXELLES — «Siamo tutti d’accordo che ci sono divergenze »: così il premier greco e presidente di turno dell’Ue, Costas Simitis, ha commentato le difficoltà del vertice Ue di Bruxelles a produrre una dichiarazione comune sulla guerra in Iraq. I lavori del consiglio, ha detto Simitis, si sono perciò concentrati su «principi accettati da tutti» e «abbiamo cercato di guardare al futuro».
Alla fine però una dichiarazione focalizzata su ruolo dell’Onu, profughi, Medio Oriente e rapporto con gli Usa è stata varata. «Ribadiamo —scrivono i Quindici —il nostro impegno a mantenere il ruolo fondamentale delle Nazioni Unite e la responsabilità primaria del Consiglio di sicurezza per il mantenimento della pace e della stabilità internazionale». Ma, precisano, «rimaniamo convinti della necessità di rafforzare la partnership transatlantica che rimane una priorità strategica fondamentale per l’Ue». Sul Medio Oriente i Quindici chiedono «l’immediata pubblicazione ed attuazione della road map, così come approvata dal Quartetto». Infine il summit chiede «urgentemente che sia data risposta ai bisogni umanitari provocati dal conflitto. L’Unione è impegnata ad essere attivamente coinvolta in questo campo nel rispetto dei suoi principi base».
Mille in marcia per la pace a Cremona
Bandiere arcobaleno, di sindacati e partiti, striscioni e qualche ramoscello d’ulivo per dire no alle bombe che piovono su Baghdad. Quasi un migliaio di cremonesi di ogni età hanno accolto ieri pomeriggio l’appello alla mobilitazione contro la guerra, rilanciato all’indomani dell’attacco angloamericano da Cgil, Cisl, Uil, centrosinistra e organizzazioni cattoliche come Acli e Pax Christi. Fin dalle 16 i manifestanti hanno cominciato ad affluire in piazza Stradivari, per un raduno ordinato e silenzioso ‘seguito’ con molta discrezione da un gruppetto di agenti di polizia e Carabinieri.
Uomini di partito e delle istituzioni, sindacalisti, semplici cittadini e tanti giovani hanno dato corpo a questo pomeriggio per la pace, segnato anche da un’evidente connotazione politica e naturalmente disertato dal centrodestra. Nutrita pure la presenza di rappresentanze di fabbrica e movimenti (dal collettivo Almarebelde al nodo cremonese della Rete di Lilliput), in ore frenetiche nelle quali si susseguono contatti per nuove iniziative, che dovranno tenere conto del succedersi degli eventi. Ieri pomeriggio i sindacati avevano anche proclamato uno sciopero generale di due ore, le ultime del pomeriggio, per ‘dire no alla guerra e mettere in campo tutti gli strumenti democratici per esprimere la più netta contrarietà, il più fermo dissenso del mondo del lavoro’.
Un sentimento che accomunava tutti, collante del corteo che verso le 17.10 si è mosso lungo corso Vittorio Emanuele per il sit-in davanti al palazzo del Governo.
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