CALCIO
28 Marzo 2021 - 07:00
Un tempo l'arte calzaturiera costituiva un vanto di schietta pertinenza artigianale e seguiva una sintassi quasi sempre familiare, cosicché le sue regole ed i suoi «segreti» venivano trasmessi scrupolosamente da padre in figlio. Non di rado la confezione di un paio di scarpe maschili o di stivaletti femminili impegnava il «capobottega» ed i collaboratori — quasi sempre suoi figli — in un minuzioso ed armonico cesello, fatto di abilità e di pazienza.
L'avvento della catena produttiva ha inferto un colpo determinante a questa attività: il passare del tempo ha costretto alla pensione i suoi maggiori «sacerdoti» ed i giovami, allettati dalle «quarant'ore» e dalle prospettive di un lavoro meno difficile ed impegnativo, hanno preferito «spersonalizzarsi» altrove. Quello che una volta era un battaglione si è inevitabilmente ridotto ad una pattuglia.
Una delle culle cremonesi di questa branchia artigianale era posta a Cingia de' Botti, dove i «calzolai su misura» prosperavano, servendo la clientela di una vasta area circostante e provvedendo — non di rado — anche ai bisogni della nostra città. Sul finire dello scorso secolo e nel primo decennio del nostro, all'approssimarsi della stagione lirica, le signore si preoccupavano del completamento della loro eleganza ed «andavano a Cingia» per la misura, le prove ed il ritiro dei loro stivaletti. I viaggi venivano compiuti in carrozza e costituivano una tradizione.
Una delle «botteghe» più rinomate era quella in cui operava la famiglia Carletti. Purtroppo non siamo in grado di ricostruire l'intero albero genealogico di quesito casato: il nostro viaggio all'indietro nel tempo ha dovuto infatti arrestarsi al quarto capitolo, che risale al settimo decennio dell'Ottocento, quando le redini erano impugnate dal signor Luigi che, a quanto garantiscono i nonni di Cingia de' Botti, aveva il più bel paio di baffi del paese.
La successione venne poi garantita da suo figlio Aristide che a sua volta la lasciò in eredità ai primogenito, che si chiamava Luigi come il nonno e che è ancora vivente, con un'antologia episodica ricca di spunti e di richiami folcloristici. Il signor Luigi «junior» ha allevato otto figli, cinque dei quali maschi e tutti calzolai, almeno all'origine. Poi il progresso ha voluto la sua parte e diversi dei «rampolli», lasciato il deschetto, hanno salito la scala dei valori professionali: fedeli all'indirizzo di famiglia, sono rimasti nel ramo delle calzature ed occupano posti di rilievo in opifici industriali.
Uno di essi ha tuttavia fatto onore alla tradizione: si tratta di Giorgio Carletti che, cresciuto artigianalmente all'ombra del padre, nell'immediato dopoguerra ha lasciato Cingia de' Botti per Cremona con il logico indirizzo di trovare una clientela che gli facesse guadagnare il pane quotidiano. Il quarto gradino di questa florida ed attivissima famiglia di «calzolai su misura» si avvale attualmente, come collaboratrice, della moglie Lina ed apre il suo piccolo laboratorio in via Mercatello.
Giorgio Carletti al suo deschetto
Giorgio Carletti lavora con l'attenta cura della più valida tradizione nazionale, dalla scelta dei pellami alle finiture. Ogni scarpa che esce dalle sue mani è un piccolo capolavoro, studiato e modellato con estrema attenzione: basta osservare qualche suo modello por rendersi conto della raffinata e naturale eleganza a cui sa ancora giungere il lavoro artigianale; le linee sono piene di equilibrio e si rifanno all'esperienza degli avi, senza eccessi di stravaganza ma con un'impaginazione che sfuma in piena levigatezza.
Giorgio Carletti non si è limitato all'opera didattica del padre: a 12 anni è andato infatti in collegio, dai Salesiani a Verona, dove ha unito l'antico al moderno ed ha aggiunto lo studio alla tecnica ed all'applicazione che gli ha insegnato l'ambiente familiare: ha perciò avuto una formazione eclettica e completa, che gli consente di onorare qualsiasi richiesta. A tutto questo si deve unire l'esperienza personale, maturata in 34 anni di attività.
Qui sopra abbiamo accennato alla moglie: la signora Lina, contagiata indiscutibilmente dal marito, alterna le sue incombenze di donna di casa all'appoggio che offre al consorte: l'abbiamo vista all'opera mentre provvedeva a cucire delle tomaie e ci siamo resi conto che il bacillo artigianale le è entrato nel sangue.
La signora Lina in piena attività
Abbiamo anche capito che la felicità, quella vera, non è rappresentata dal raggiungimento della ricchezza e del potere; talvolta essa è costituita semplicemente dall'amore par quello che si fa e dai risultati che questo impegno riesce ad ottenere.
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